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aprile 25, 2024     |

 

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Lo scheletro è la più comune sede di metastatizzazione neoplastica (disseminazione delle cellule cancerose a partire dal tumore primitivo) e le metastasi ossee sono una delle principali cause di dolore riportate nei pazienti affetti da cancro. La presenza di metastasi ossee può, inoltre, essere responsabile di complicanze che in alcuni casi risultano invalidanti come fratture ossee patologiche, ipercalcemia (incremento della concentrazione del calcio plasmatico), compressione midollare (compressione delle strutture nervose contenute a livello della colonna vertebrale) e di eventi scheletrici che richiedano un trattamento chirurgico o il ricorso alla radioterapia, a volte in condizioni di urgenza.

Indipendentemente dal loro aspetto alla radiografia, le metastasi ossee sono caratterizzate, dal punto di vista biologico, da un aumento dell’attività “osteoclastica”, ovvero da un aumento dell’attività degli “osteoclasti”, cellule residenti a livello del tessuto osseo responsabili del suo continuo riassorbimento e rimodellamento nel corso della vita adulta.

Insieme alla chemioterapia sistemica, somministrata per via endovenosa, e alla radioterapia ossea, che rappresenta ad oggi il trattamento più efficace nel controllo locale delle metastasi ossee, esistono altre possibilità terapeutiche soprattutto per quanto riguarda la componente dolorifica spesso presente. Tra queste rivestono un ruolo molto importante i difosfonati, farmaci che, in virtù delle loro proprietà chimico-fisiche, possono inibire l’attività delle cellule deputate al riassorbimento osseo, gli “osteoclasti”, facilitando anche la ri-calcificazione dell’osso sede di metastasi.

I farmaci oggi maggiormente utilizzati sono l’Acido Zoledronico (Zometa), somministrato in via endovenosa ogni 3-4 settimane, e l’Acido Pamidronico (Aredia), utilizzato con la stessa modalità e cadenza. Entrambi vengono impiegati nel trattamento delle metastasi ossee in corso di mieloma multiplo e di numerose neoplasie solide, quali ad esempio il tumore del polmone o della mammella.

La somministrazione endovenosa di difosfonati è possibile solo in ambiente ospedaliero. Si tratta infatti di farmaci concessi dal servizio sanitario nazionale esclusivamente ai presidi ospedalieri e secondo prescrizione specialistica.

I difosfonati possono essere somministrati da soli o in associazione alla chemioterapia, non essendoci interazione tra questi ed i farmaci chemioterapici. Si consiglia fino ad un massimo di 8-9 cicli terapeutici (cioè 8-9 somministrazioni del farmaco).

Il trattamento è solitamente ben tollerato, ma non completamente scevro da effetti collaterali. Il più importante di essi è rappresentato dalla osteonecrosi mandibolare avascolare (sofferenza di aree circoscritte della mandibola o dell’osso mascellare alle quali viene meno l’apporto ematico con morte tissutale ed elevato rischio di sovrapposizione infettiva). Per ridurre al minimo la possibilità di insorgenza di tale evento è consigliabile mantenere un’adeguata igiene orale durante e dopo il trattamento. La condizione ideale sarebbe effettuare un trattamento di igiene dentale prima dell’inizio della terapia con difosfonati. Tra gli altri effetti collaterali, blandi e poco frequenti, vi sono: la riduzione della funzionalità renale, l’insorgenza di nausea, vomito, algie addominali, la riduzione della pressione arteriosa in corso di infusione, febbre con brividi, vertigini e squilibrii elettrolitici. Ad ogni infusione del farmaco andrebbe pertanto effettuato un controllo degli esami ematochimici al fine di monitorare costantemente la funzionalità d’organo e l’equilibrio idro-elettrolitico dell’organismo, minimizzando l’insorgenza di tali effetti collaterali.
L’uso contemporaneo di vitamina D può antagonizzare l’azione dell’Acido Pamidronico (Aredia) e pertanto andrebbe evitato. Non vi sono invece controindicazioni alla supplementazione con Calcio.
L’impiego dei difosfonati è controindicato in corso di gravidanza ed allattamento.

 

 

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